venerdì 22 luglio 2011

Un mio racconto su Conan incompiuto ancora

Ecco l'inizio di un racconto che ho cominciato a scrivere tempo fa e che ancora non ho finito.

PARTE I



Nella valle più profonda coperta dalla vegetazione della giungla, sepolte e assopite giacciono le rovine di un tempio più antico degli uomini stessi.
Rocce scure stese su un manto verde, avvolte da liane e strette da radici, tutto quel che resta di un antico popolo il cui nome è stato dimenticato.
Conan, con la spada già macchiata di sangue, gli occhi che scrutavano nell'oscurità della foresta e i sensi vigili, come una pantera a caccia si muoveva nell'ombra.
Cercava qualsiasi traccia potesse aver lasciato Batius, il farabutto con cui si era imbarcato nell'impresa di trovare l'antico tempio, in cerca di tesori di inestimabile valore.
Dopo aver trascorso settimane insieme, inoltrandosi in luoghi remoti, che il cimmero non aveva mai visto, una volta arrivati nel tempio, Batius, accecato dall'avidità lo aveva stordito con una pietra.
Il cranio del barbaro era ancora chiazzato del sangue che ormai si era rappreso.
Conan non sapeva quale follia avesse indotto il suo amico a tradirlo, quello di cui era sicuro è che non avrebbe mai affrontato un viaggio del genere se non si fosse fidato dell'altro.
Per di più, Batius, aveva anche rapito la loro guida, l'innocente figlia del capo di una tribù locale in cui avevano trovato una mappa che li potesse condurre al tempio.
Le urla della ragazza avevano avvertito gli indigeni che, non sapendo del tradimento di Batius, adesso inseguivano anche Conan e, non fosse stato per l'acciaio della sua spada, lo avrebbero già catturato e sottoposto ai terribili veleni della foresta, pericolosi e infidi quasi quanto il loto nero.
Dopo essersi assicurato che fosse solo, Conan rinfoderò la spada che impugnava, desideroso di riporla nel ventre di Batius.
Ora che poteva ragionare in modo più lucido, non perse tempo a rendersi conto della bellezza delle rovine che lo circondavano.
Grandi massi di roccia nera, simile ad ossidiana ma opachi, uscivano dal verde, e mostravano la loro bellezza: erano lisci e ben lavorati, incisi con caratteri antichi che il cimmero non pensava di aver mai visto prima.
Alcune strutture si reggevano su strani equilibri permettendo di riconoscere  la grande abilità degli scultori.
In fondo a un viale decorato con colonne, sprofondava l'entrata del tempio sotterraneo.
Il cimmero si avvicinò con cautela , senza emettere un rumore, timoroso non solo del traditore ma anche che ci potessero essere antiche trappole, innescate per tenere lontani ospiti indesiderati.
Ogni passo fu pesato con precisione dal cimmero, e scalino dopo scalino si avvicinò finalmente all'entrata.
Non potè fare a meno di notare che il pesante masso che costituiva la porta della galleria, con equilibri perfetti ruotava senza fatica, e si poteva facilmente vedere che qualcuno lo aveva smosso da poco.
Una freccia dagli alberi interruppe i suoi pensieri e, nel momento stesso in cui capì di essere stato raggiunto dai guerrieri della tribù, vide arrivare un paio di guerrieri armati con lance e scure di bronzo.
Il più vicino dei due scagliò la sua lancia in direzione del cimmero, ma il gesto fu troppo lento e Conan, con un agile balzo, riuscì ad evitare il colpo.
Sguainò la spada con un gesto che aveva già fatto innumerevoli volte, pronto a mietere le sue vittime.
Il cimmero si apprestò a combatterli, conscio del fatto che i 2 volevano solo recuperare la loro principessa, ma il suo spirito di sopravvivenza era così forte che nononstante l'equivoco li avrebbe uccisi senza esitare.
Fu raggiunto da un colpo di lancia che lo graffiò leggermente a una spalla, in compenso, il colpo che diede in risposta, dilaniano le carni del suo avversario.
Nel frattempo, il guerriero che aveva scagliato la lancia si avvicinò al cimmero fendendo l'aria con la scure.
I due cominciarono a lottare in modo forsennato, consci del fatto che solo uno sarebbe sopravvissuto.
Improvvisamente Conan, vedendo uno spiraglio nella difesa dell'avversario, lo costrinse a indietreggiare in modo scomposto con un calcio e, caricando con la spada, gli squarciò il ventre con un colpo di punta.
L'avversario cadde con la testa all'indietro da cui già uscivano fiotti di sangue.
Senza nemmeno ripulire la lama il cimmero la rinfoderò sbrigandosi ad entrare nel tempio, conscio del fatto che l'arciere, che aveva cercato di ucciderlo prima, era ancora vivo e, probabilmente, era già andato a chiamare il resto della tribù.
L'interno delle rovine erano oscure, ma non come ci si potrebbe aspettare da un luogo chiuso che non vede la luce del sole da migliaia di anni.
Una sottile luminescenza verde permetteva di vedere i contorni dei muri, il profilo degli scalini e i grotteschi volti delle statue.
Vedendole Conan rabbrividì, pensando alle leggende sugli uomini serpente, abitanti antichi della terra ben prima che gli esseri umani potessero mettervi piede, e ai racconti popolari che li volevano ancora non estinti, riuniti in piccole società segrete, il cui unico scopo era quello di causare il massimo danno alla razza umana e di restaurare i loro antichi imperi.
Dopo molto camminare Conan giunse ad una larga sala circolare la cui particolarità era quella di avere un'apertura circolare che dava verso il cielo, permettendo così alla luce del sole di entrare e di oscurare con il suo baglieore la luce verdognola che lo aveva guidato fino ad allora.
Al centro una pozza di acqua piovana da cui spuntava una grande statua, che disturbò Conan ben più delle altre.
La statua raffigurava infatti una donna alta e forte, dai lunghi capelli sciolti, gli occhi ardenti e la pelle levigata.
La donna era coperta di serpenti, che la cingevano in un abbraccio innaturale e disgustoso.
La perizia con cui erano scolpiti i serpenti era tale, da far pensare a Conan che potessero essere veri e non semplici statue prive di vita.

Nella valle più profonda coperta dalla vegetazione della giungla, sepolte e assopite giacciono le rovine di un tempio più antico degli uomini stessi.
Rocce scure stese su un manto verde, avvolte da liane e strette da radici, tutto quel che resta di un antico popolo il cui nome è stato dimenticato.
Conan, con la spada già macchiata di sangue, gli occhi che scrutavano nell'oscurità della foresta e i sensi vigili, come una pantera a caccia si muoveva nell'ombra.
Cercava qualsiasi traccia potesse aver lasciato Batius, il farabutto con cui si era imbarcato nell'impresa di trovare l'antico tempio, in cerca di tesori di inestimabile valore.
Dopo aver trascorso settimane insieme, inoltrandosi in luoghi remoti, che il cimmero non aveva mai visto, una volta arrivati nel tempio, Batius, accecato dall'avidità lo aveva stordito con una pietra.
Il cranio del barbaro era ancora chiazzato del sangue che ormai si era rappreso.
Conan non sapeva quale follia avesse indotto il suo amico a tradirlo, quello di cui era sicuro è che non avrebbe mai affrontato un viaggio del genere se non si fosse fidato dell'altro.
Per di più, Batius, aveva anche rapito la loro guida, l'innocente figlia del capo di una tribù locale in cui avevano trovato una mappa che li potesse condurre al tempio.
Le urla della ragazza avevano avvertito gli indigeni che, non sapendo del tradimento di Batius, adesso inseguivano anche Conan e, non fosse stato per l'acciaio della sua spada, lo avrebbero già catturato e sottoposto ai terribili veleni della foresta, pericolosi e infidi quasi quanto il loto nero.
Dopo essersi assicurato che fosse solo, Conan rinfoderò la spada che impugnava, desideroso di riporla nel ventre di Batius.
Ora che poteva ragionare in modo più lucido, non perse tempo a rendersi conto della bellezza delle rovine che lo circondavano.
Grandi massi di roccia nera, simile ad ossidiana ma opachi, uscivano dal verde, e mostravano la loro bellezza: erano lisci e ben lavorati, incisi con caratteri antichi che il cimmero non pensava di aver mai visto prima.
Alcune strutture si reggevano su strani equilibri permettendo di riconoscere  la grande abilità degli scultori.
In fondo a un viale decorato con colonne, sprofondava l'entrata del tempio sotterraneo.
Il cimmero si avvicinò con cautela , senza emettere un rumore, timoroso non solo del traditore ma anche che ci potessero essere antiche trappole, innescate per tenere lontani ospiti indesiderati.
Ogni passo fu pesato con precisione dal cimmero, e scalino dopo scalino si avvicinò finalmente all'entrata.
Non potè fare a meno di notare che il pesante masso che costituiva la porta della galleria, con equilibri perfetti ruotava senza fatica, e si poteva facilmente vedere che qualcuno lo aveva smosso da poco.
Una freccia dagli alberi interruppe i suoi pensieri e, nel momento stesso in cui capì di essere stato raggiunto dai guerrieri della tribù, vide arrivare un paio di guerrieri armati con lance e scure di bronzo.
Il più vicino dei due scagliò la sua lancia in direzione del cimmero, ma il gesto fu troppo lento e Conan, con un agile balzo, riuscì ad evitare il colpo.
Sguainò la spada con un gesto che aveva già fatto innumerevoli volte, pronto a mietere le sue vittime.
Il cimmero si apprestò a combatterli, conscio del fatto che i 2 volevano solo recuperare la loro principessa, ma il suo spirito di sopravvivenza era così forte che nononstante l'equivoco li avrebbe uccisi senza esitare.
Fu raggiunto da un colpo di lancia che lo graffiò leggermente a una spalla, in compenso, il colpo che diede in risposta, dilaniano le carni del suo avversario.
Nel frattempo, il guerriero che aveva scagliato la lancia si avvicinò al cimmero fendendo l'aria con la scure.
I due cominciarono a lottare in modo forsennato, consci del fatto che solo uno sarebbe sopravvissuto.
Improvvisamente Conan, vedendo uno spiraglio nella difesa dell'avversario, lo costrinse a indietreggiare in modo scomposto con un calcio e, caricando con la spada, gli squarciò il ventre con un colpo di punta.
L'avversario cadde con la testa all'indietro da cui già uscivano fiotti di sangue.
Senza nemmeno ripulire la lama il cimmero la rinfoderò sbrigandosi ad entrare nel tempio, conscio del fatto che l'arciere, che aveva cercato di ucciderlo prima, era ancora vivo e, probabilmente, era già andato a chiamare il resto della tribù.
L'interno delle rovine erano oscure, ma non come ci si potrebbe aspettare da un luogo chiuso che non vede la luce del sole da migliaia di anni.
Una sottile luminescenza verde permetteva di vedere i contorni dei muri, il profilo degli scalini e i grotteschi volti delle statue.
Vedendole Conan rabbrividì, pensando alle leggende sugli uomini serpente, abitanti antichi della terra ben prima che gli esseri umani potessero mettervi piede, e ai racconti popolari che li volevano ancora non estinti, riuniti in piccole società segrete, il cui unico scopo era quello di causare il massimo danno alla razza umana e di restaurare i loro antichi imperi.
Dopo molto camminare Conan giunse ad una larga sala circolare la cui particolarità era quella di avere un'apertura circolare che dava verso il cielo, permettendo così alla luce del sole di entrare e di oscurare con il suo baglieore la luce verdognola che lo aveva guidato fino ad allora.
Al centro una pozza di acqua piovana da cui spuntava una grande statua, che disturbò Conan ben più delle altre.
La statua raffigurava infatti una donna alta e forte, dai lunghi capelli sciolti, gli occhi ardenti e la pelle levigata.
La donna era coperta di serpenti, che la cingevano in un abbraccio innaturale e disgustoso.
La perizia con cui erano scolpiti i serpenti era tale, da far pensare a Conan che potessero essere veri e non semplici statue prive di vita.


Nella valle più profonda coperta dalla vegetazione della giungla, sepolte e assopite giacciono le rovine di un tempio più antico degli uomini stessi.
Rocce scure stese su un manto verde, avvolte da liane e strette da radici, tutto quel che resta di un antico popolo il cui nome è stato dimenticato.
Conan, con la spada già macchiata di sangue, gli occhi che scrutavano nell'oscurità della foresta e i sensi vigili, come una pantera a caccia si muoveva nell'ombra.
Cercava qualsiasi traccia potesse aver lasciato Batius, il farabutto con cui si era imbarcato nell'impresa di trovare l'antico tempio, in cerca di tesori di inestimabile valore.
Dopo aver trascorso settimane insieme, inoltrandosi in luoghi remoti, che il cimmero non aveva mai visto, una volta arrivati nel tempio, Batius, accecato dall'avidità lo aveva stordito con una pietra.
Il cranio del barbaro era ancora chiazzato del sangue che ormai si era rappreso.
Conan non sapeva quale follia avesse indotto il suo amico a tradirlo, quello di cui era sicuro è che non avrebbe mai affrontato un viaggio del genere se non si fosse fidato dell'altro.
Per di più, Batius, aveva anche rapito la loro guida, l'innocente figlia del capo di una tribù locale in cui avevano trovato una mappa che li potesse condurre al tempio.
Le urla della ragazza avevano avvertito gli indigeni che, non sapendo del tradimento di Batius, adesso inseguivano anche Conan e, non fosse stato per l'acciaio della sua spada, lo avrebbero già catturato e sottoposto ai terribili veleni della foresta, pericolosi e infidi quasi quanto il loto nero.
Dopo essersi assicurato che fosse solo, Conan rinfoderò la spada che impugnava, desideroso di riporla nel ventre di Batius.
Ora che poteva ragionare in modo più lucido, non perse tempo a rendersi conto della bellezza delle rovine che lo circondavano.
Grandi massi di roccia nera, simile ad ossidiana ma opachi, uscivano dal verde, e mostravano la loro bellezza: erano lisci e ben lavorati, incisi con caratteri antichi che il cimmero non pensava di aver mai visto prima.
Alcune strutture si reggevano su strani equilibri permettendo di riconoscere  la grande abilità degli scultori.
In fondo a un viale decorato con colonne, sprofondava l'entrata del tempio sotterraneo.
Il cimmero si avvicinò con cautela , senza emettere un rumore, timoroso non solo del traditore ma anche che ci potessero essere antiche trappole, innescate per tenere lontani ospiti indesiderati.
Ogni passo fu pesato con precisione dal cimmero, e scalino dopo scalino si avvicinò finalmente all'entrata.
Non potè fare a meno di notare che il pesante masso che costituiva la porta della galleria, con equilibri perfetti ruotava senza fatica, e si poteva facilmente vedere che qualcuno lo aveva smosso da poco.
Una freccia dagli alberi interruppe i suoi pensieri e, nel momento stesso in cui capì di essere stato raggiunto dai guerrieri della tribù, vide arrivare un paio di guerrieri armati con lance e scure di bronzo.
Il più vicino dei due scagliò la sua lancia in direzione del cimmero, ma il gesto fu troppo lento e Conan, con un agile balzo, riuscì ad evitare il colpo.
Sguainò la spada con un gesto che aveva già fatto innumerevoli volte, pronto a mietere le sue vittime.
Il cimmero si apprestò a combatterli, conscio del fatto che i 2 volevano solo recuperare la loro principessa, ma il suo spirito di sopravvivenza era così forte che nononstante l'equivoco li avrebbe uccisi senza esitare.
Fu raggiunto da un colpo di lancia che lo graffiò leggermente a una spalla, in compenso, il colpo che diede in risposta, dilaniano le carni del suo avversario.
Nel frattempo, il guerriero che aveva scagliato la lancia si avvicinò al cimmero fendendo l'aria con la scure.
I due cominciarono a lottare in modo forsennato, consci del fatto che solo uno sarebbe sopravvissuto.
Improvvisamente Conan, vedendo uno spiraglio nella difesa dell'avversario, lo costrinse a indietreggiare in modo scomposto con un calcio e, caricando con la spada, gli squarciò il ventre con un colpo di punta.
L'avversario cadde con la testa all'indietro da cui già uscivano fiotti di sangue.
Senza nemmeno ripulire la lama il cimmero la rinfoderò sbrigandosi ad entrare nel tempio, conscio del fatto che l'arciere, che aveva cercato di ucciderlo prima, era ancora vivo e, probabilmente, era già andato a chiamare il resto della tribù.
L'interno delle rovine erano oscure, ma non come ci si potrebbe aspettare da un luogo chiuso che non vede la luce del sole da migliaia di anni.
Una sottile luminescenza verde permetteva di vedere i contorni dei muri, il profilo degli scalini e i grotteschi volti delle statue.
Vedendole Conan rabbrividì, pensando alle leggende sugli uomini serpente, abitanti antichi della terra ben prima che gli esseri umani potessero mettervi piede, e ai racconti popolari che li volevano ancora non estinti, riuniti in piccole società segrete, il cui unico scopo era quello di causare il massimo danno alla razza umana e di restaurare i loro antichi imperi.
Dopo molto camminare Conan giunse ad una larga sala circolare la cui particolarità era quella di avere un'apertura circolare che dava verso il cielo, permettendo così alla luce del sole di entrare e di oscurare con il suo baglieore la luce verdognola che lo aveva guidato fino ad allora.
Al centro una pozza di acqua piovana da cui spuntava una grande statua, che disturbò Conan ben più delle altre.
La statua raffigurava infatti una donna alta e forte, dai lunghi capelli sciolti, gli occhi ardenti e la pelle levigata.
La donna era coperta di serpenti, che la cingevano in un abbraccio innaturale e disgustoso.
La perizia con cui erano scolpiti i serpenti era tale, da far pensare a Conan che potessero essere veri e non semplici statue prive di vita.

mercoledì 6 luglio 2011

Ed ecco pure Dredd

Oggi ero in vena di disegnare e dipingere con la tavoletta grafica.
Ecco un incacchiatissimo Dredd.

domenica 3 luglio 2011

Dramma Co(s)mico: Preludio alla corte degli Angeli

L'angelo sulla rupe più alta: " Flegias, Flegias, pallido Flegias, entra nella sala degli Angeli, dove gli arazzi rifulgono di luce Divina e le mura bisbigliano preghiere.
Flegias, signore delle mosche e flagello dell'igiene intima fatti avanti principe delle flautolenze e affronta gli emissari di colui che tutto creò".

L'angelo sulla seconda rupe più alta: "Emh, Signore, non so come dirglielo ma non c'è nessun Flegias qui al nostro cospetto..".

L'angelo sulla rupe più alta: " Aspide e veleno degli angeli, unta carcassa zoppa, teschio verde e ghigno spettrale, ossa tremolanti, fatti avanti e affronta il nostro giudizio!".

Gli angeli, sgomenti per il comportamento del loro signore, si guardano non sapendo cosa fare.
Dopo qualche attimo di silenzio, l'angelo sulla seconda rupe più alta, facendosi coraggio, prende la parola: " Signore... Signore mi scusi.. non so come dirglielo ma qui... bhè non c'è nessun Flegias..".

Folgori azzurre, rosse e verdi e senape si abbattono sull'angelo riducendolo ad un ammasso di carbone.

L'angelo sulla terza rupe più alta: "Presto, avete sentito il capo, fate entrare mastro Flegias!".

La musa chiama e io rispondo!

La Musa (ovvero la mia ragazza) ha chiamato e io ho risposto!
Ecco qua uno speedpainting fatto con gli acquerelli che rappresenta Death, Morte, la sorella di Sogno (il protagonista del fumetto The Sandman).
Che dire mi sono divertito molto a realizzarla e sono felice che la Musa abbia apprezzato!